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Il credo del Cholo

In questo fosco periodo di paure pandemiche, le informazioni che arrivano dai media, in linea con gli avvenimenti, non hanno altro tema che quello del coronavirus.

Noi, però scriviamo di sport, e di sport vogliamo continuare a scrivere, anche per provare a esorcizzare tali paure.

Lo sport si è fermato tutto, il calcio è andato in letargo, forzato e speriamo breve, lasciandoci un’ultima, indelebile istantanea negli occhi: la vittoria dell’Atletico Madrid a Liverpool che ha significato l’eliminazione agli ottavi dei campioni in carica della Champions League. Resta sempre un fenomeno da studiare, quello dei colchoneros e del suo condottiero, Diego Simeone. Un fenomeno che fa storcere il naso agli esteti, ma che invece va vivisezionato, perché uno dei misteri più grandi che si è affermato in Spagna.

Quello iberico è un calcio votato al bello, dove il vincente deve esserlo giocando un calcio propositivo, fondato sulle magie individuali, poco collettivo e pochissimo tattico. In mezzo a tutto questo, quasi da contrappasso, si impone il calcio di Simeone, un calcio ossessivo nel rigore del suo 4-4-2, con distanze tra uomini e reparti rispettate al millimetro, sincronismi di sovrapposizione, taglio e inserimenti che nemmeno i famosi orologiai svizzeri sono capaci di inserire nei loro gioielli. Una delle cose più impressionanti di questo calcio è la sua immutabilità. Noi, soprattutto noi italiani, siamo abituati a studiare gli avversari, ad adattarci al loro gioco, a capire i momenti della partita. L’Atletico no. Sia che giochi in casa, sia in trasferta, contro avversari più forti o più deboli, il loro credo calcistico non si muove di una virgola: spazi ben chiusi dietro e folgoranti ripartenze in massa verso la porta avversaria. In certa momenti sembra di vedere un cobra, avvolto nelle sue spire, ma pronto a piazzare il morso fatale a velocità ineguagliabile.

Per questo lo sviluppo del gioco colchonero è senza fronzoli, pragmatico, elementare quasi nel suo sviluppo. Nell’idea di Simeone, l’efficacia dell’applicazione ci riporta ad un calcio antico, ma sempre attuale, che dovrebbe rappresentare la base per costruire qualsiasi tipo di calcio: la difesa deve saper difendere, il centrocampo coprire e costruire, l’attacco fare gol. Elementare, ma anche complicato, perché a queste semplici regole va poi aggiunta l’abnegazione totale, l’intensità ossessiva, l’aggressività senza scampo, e tutto quanto sopra va fatto capire ai giocatori. Solo chi sposa in pieno questa concezione calcistica può entrare a far parte di questo team.

Da sempre, il gioco del guru opposto a Simeone, Pep Guardiola, è stato visto come un calcio per pochi eletti in cui, pur muovendo da principi opposti e antitetici, l’applicazione richiesta è la stessa. Ebbene, credo che nel caso del calcio di Simeone si possa parlare di vera e propria “setta”, per gli appassionati di videogiochi e film si può pensare alla spietatezza e all’efficacia di “Assassins Creed”: si entra perché si crede in quello che si fa, gli si dà dedizione assoluta, con l’unico dio del risultato da conseguire a tutti i costi, togliendo l’aria agli avversari, chiudendo e annullando quegli spazi che i seguaci del “guardiolismo” individuano come dodicesimo uomo. Ma, spesso, è il cholismo a vincere.

 

 

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