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Havelange, calcio e corruzione

Il mondo dello sport è pieno di personaggi che, nella loro storia, sono stati ricchi di contraddizioni.

Spesso, infatti, nel loro percorso hanno alternato decisioni lungimiranti ad altre discutibili, soprattutto quando si è trattato di monetizzare, ove fosse possibile. È quello, che ha fatto sempre la differenza: la moneta, e tutto il potere che da essa può derivare.

Tutto questo è particolarmente vero soprattutto nel calcio, con il suo coinvolgimento planetario, e di tutto questo si può trovare un punto di inizio nel momento in cui fu eletto alla presidenza della Fifa il brasiliano Joao Havelange, che è venuto a mancare in queste ore, dopo aver varcato da qualche mese il secolo di vita. Havelange, brasiliano, fu il primo presidente ad essere eletto alla guida della massima organizzazione calcistica mondiale non europeo, il primo a farlo grazie al voto delle nazioni cosiddette terzomondiste.

Il brasiliano, interprete di vari sport in gioventù, ma soprattutto pallanotista, divenuto avvocato si dimostrò ottimo uomo d’affari, rivelandosi particolarmente abile nel costruirsi alleanze, cosa che fu il suo punto di forza anche alla guida della Fifa. La sua ascesa dirigenziale iniziò nel Comitato Olimpico Brasiliano, per poi passare alla presidenza della federcalcio carioca, fino ad arrivare a contendere a sir Stanley Rous, presidente uscente, nel 1974, la massima poltrona dell’ente mondiale, vincendo per 68 voti a 52.

A far la differenza furono i voti delle federazioni africane ed asiatiche da cui, con grande intuito politico, Havelange ebbe l’appoggio dietro la promessa di ampliare il numero delle loro partecipanti ai mondiali. A questo punto si arriva alla contraddizione iniziale, dove personaggi dai comportamenti ambigui riescono comunque a sfornare innovazioni importanti. Havelange mantenne fede alla sua promessa, e per farlo aumentò il numero delle squadre partecipanti alla massima competizione mondiale, che passarono da sedici a ventiquattro nel 1982.

Tutto questo portò ad un aumento vertiginoso del giro di affari, e quindi di soldi, intorno al calcio, dimostrando lo spirito imprenditoriale del brasiliano, ma accendendo pure forti sospetti, diciamo certezze, di una corruzione che sarebbe diventata sempre più diffusa, fino agli scandali di oggi. A quei tempi fu Artemio Franchi, presidente dell’Uefa, a sollevare i primi dubbi su un “sistema” che sarebbe continuato anche dopo il ritiro di Havelange, nel 1998, per un meccanismo che, se vogliamo, è stato addirittura migliorato dal suo successore, l’inossidabile Sepp Blatter.

Personaggi che sono stati capaci di favorire la massima diffusione del calcio in tutto gli angoli del globo, incentivandolo nei paesi con minori possibilità, permettendo anche l’introito di molti soldi, ma creando anche una corruzione strisciante che, se non arginata, rischia di far perdere qualsiasi senso sportivo al calcio. Un senso che forse mai ha accompagnato Joao Havelange nel corso della sua storia, preoccupato di accumulare potere e soldi, pur riconoscendogli il merito dell’inizio della crescita del calcio mondiale.

 

 

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