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Paolorossi, l'uomo che fece piangere il Brasile

Ci sono notizie tristi, che quando ti arrivano ti lasciano basito, senza parole, in completa atonia, senza forze.

È il lugubre retaggio che ci sta lasciando questo maledetto 2020, tra pandemie e semplici casi del destino, una vera ghigliottina che sta dolorosamente tranciando tutti i sentimenti di una generazione.

La morte di Paolo Rossi ci colpisce a pochi giorni dalla scomparsa di Diego Armando Maradona, a dire che siamo colpiti in quelli che sono gli affetti più cari per chi ama questo sport. Maradona ha rappresentato il calcio, ma Paolorossi, nella grafia in cui c’era caro, è stato un vero eroe calcistico, di quelli che con la loro parabola hanno parafrasato la dinamica della vita stessa, un parente anche più che simbolico. Come l’argentino, anche Rossi ha vissuto più di una vita, magari non così di confine come il Pibe de Oro, ma comunque fatta di vette ed abissi.

Nato a Prato, cresciuto nella Juventus, è nell’allora Lanerossi Vicenza, presieduto da Giussy Farina e sotto la guida di un maestro come G. B. Fabbri, che la sua carriera di attaccante decolla. Attaccante già moderno, perché lontano dai cliché tipici del ruolo, lui piccolino ed esile, a differenza dei giganti dell’epoca e di quelli che lo dovevano marcare. Chiaro che per coprire così bene quel ruolo dovevi avere altro talento, e Rossi lo aveva: egli “sentiva” la porta e anticipava i difensori, materializzandosi all’improvviso lì dove non si pensava potesse essere. Un senso dello smarcamento senza eguali.

Tanti gol in campionato gli valsero la chiamata in Nazionale, dove Enzo Bearzot lo fece debuttare, a sorpresa, in Argentina, nel 1978. Fu qui che, insieme a Roberto Bettega e accompagnato da un gioco spumeggiante, si impose all’attenzione mondiale, ma proprio mentre si avvicinava all’apice ci fu la caduta rovinosa. Nel 1980 fu coinvolto nel primo Calcioscommesse che, colpevole o meno, gli costò la squalifica di due anni. Sembrava l’inizio della fine, ma ebbe la fortuna di trovare l’ostinazione di Bearzot e la fiducia della Juventus. I bianconeri lo acquistarono comunque, in attesa della fine della squalifica, ma fu il Vecio a credere sempre in lui, anche senza giocare per così tanto tempo, e a convocarlo per i mondiali di Spagna. E a scriverne la leggenda.

Ad onta di tutto e di tutti, Bearzot difese la sua scelta e lo schierò sempre, prima fantasma spaventato più che spaventoso, pallido ectoplasma vagante per il campo, poi implacabile esecutore di Brasile, Polonia e Germania Ovest. I grani del rosario della vittoria. I sei gol, tutti nel suo repertorio di smarcamenti repentini, di fulminanti apparizioni davanti a portieri inermi, che lo confermarono Pichichi del torneo. Il Pallone d’Oro. Fu chiaro fin da subito che qualsiasi cosa avesse fatto dopo, nulla poteva eguagliare quelle imprese, perché esse stesse già leggende ineguagliabili. Vennero anche altri trofei con la maglia della Juventus, ma nulla di paragonabile a quanto fatto in maglia azzurra, quella che diventò la sua vera seconda pelle e con cui è entrato per sempre nei nostri cuori.

Salutiamo così Paolorossi, l’uomo che fece piangere il Brasile.

 

 

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