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Francisco Gento, la Galerna del Cantabrico

 

Ci sono giocatori che, pur lontani nel tempo, sono stati così importanti protagonisti della loro epoca da essere entrati nell’immaginario collettivo.

Uno di questi è sicuramente Francisco Gento, che ha lasciato la vita terrena in queste ore per entrare definitivamente nel Mito.

 

Gento ha speso tutta la sua vita calcistica al Real, dopo gli inizi al Racing Santander, contribuendo a consolidarne la leggenda fin dagli albori di quella che è diventata la sua competizione per eccellenza, la Coppa dei Campioni. Ferenc Puskas, Raymond Kopa, Hector Rial e Alfredo Di Stefano furono gli altri sodali che innervarono quella squadra dei sogni, e nessuna di queste leggende è, può essere, ignorata da quanti seguono il calcio, tifosi antichi o giovani di primo pelo.

 

Gento era un’ala sinistra, ma di quelle ali che veramente erano in grado di far volare la propria squadra, tanto veloce che i suoi inizi alla Casa Blanca furono molto difficili. Data la sua velocità, infatti, Francisco aveva difficoltà a controllare il pallone, che spesso gli sfuggiva, e questo suscitava più di un malumore nell’esigente tifoseria. Furono Di Stefano e Rial a prenderlo sotto la loro ala protettrice, ed egli poté finalmente dispiegare sul campo tutta la sua bravura. Era sgusciante, imprendibile, tanto che gli allenatori avversari spesso rovinavano appositamente il lato del campo dove si sarebbe esibito, ma senza raggiungere lo scopo di annullarlo.

 

Quella squadra dei sogni sarebbe diventata protagonista in Europa, Gento avrebbe partecipato a tutte le vittorie nella neonata Coppa dei Campioni, vincendo l’ultima, la sesta, record ineguagliato, da capitano nel 1966. Non solo, perché Gento vanta anche il record di dodici Liga spagnole vinte, un palmares unico, e non inganni il periodo in cui furono conseguite queste vittorie, dalla metà degli anni Cinquanta alla metà dei Sessanta, perché i Blancos di avversari ne ebbero, ma erano talmente forti da superare tutto e tutti.

 

Naturalmente tanto talento non poteva essere, e non fu, ignorato dalla nazionale, alla fine avrebbe assommato quarantatre presenze con cinque reti, ma la sua carriera con la Roja non fu altrettanto fortunata e ricca di successi, in un periodo in cui la nazionale spagnola era sì forte, ma non vincente. E fu pure sfortunato, perché quando nel 1964 la nazionale iberica divenne campione d’Europa, egli non partecipò alla fase finale, pur avendo preso parte alle qualificazioni.

 

Un giocatore unico per la sua velocità e la sua capacità di crossare, soprattutto un giocatore unico per la capacità di vincere sei Coppe dei Campioni, il massimo dei trofei continentali.

 

 

 

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