Casting Inter
- Domenica, 06 Novembre 2016 13:25
- Raffaele Ciccarelli
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Come è italico costume, molto ci si sta meravigliando, in queste ore, della sorta di casting che ha messo in piedi la dirigenza dell’Inter per scegliere il nuovo tecnico della stessa, dopo il siluramento di Frank de Boer, a sua volta sostituto del dimissionario (o dimissionato) Roberto Mancini.
Desta scalpore il modo, chiaramente, perché non si è mai assistito ad un tale modo di fare da parte di una società di calcio per scegliere il proprio allenatore: consultazioni, certo, ma non così spettacolari andirivieni di personaggi della panca più o meno illustri come sta avvenendo ora.
Quello che sembra appassionare in questo momento non è tanto chi sarà l’allenatore dei milanesi, quanto la particolare modalità con la quale egli sarà scelto. Sia esso Guus Hiddink o Marcelino, Stefano Pioli o Gianfranco Zola o chi altri per loro, un primo quesito che ci intriga è dato dal sentimento con cui il Prescelto siederà in panca, sapendo probabilmente di non essere la prima scelta, condizione che al momento potrebbe destabilizzare ulteriormente uno spogliatoio che avrebbe bisogno invece, di certezze.
Dicevamo che desta meraviglia questo modo di fare, in realtà credo che l’unica meraviglia sia che a farlo siano degli stranieri, ma questo capita perché forse loro sono più abituati, non conosco le abitudini cinesi e indonesiane. Secondo me, però, credo non ci sia nulla di cui meravigliarsi: cosa ci possiamo aspettare da una società civile che obnubila la propria mente che ha soppiantato i libri alla televisione come fonte di cultura, attraverso programmi televisivi che dovrebbero essere di puro intrattenimento, rispettabilissimi da questo punto di vista ma di bassa qualità culturale, che però (in maniera artificiosa?), finiscono per diventare prevaricanti nel modo di pensare dell’italiano medio?
Ormai è questo il modo di pensare e agire generale, figlio di questo sistema che tende a basarsi, come sempre, su quelle che sono le tendenze culturali del Paese. E oggi, purtroppo, le tendenze sono queste, queste le fonti di ispirazione culturale, questo quanto fa comodo a chi siede nelle stanze dei bottoni. Non deve, perciò, destare alcuna meraviglia il modo di fare della dirigenza dell’Inter: è solo la trasposizione calcistica di quelli che sono i nostri tempi. Ed è solo l’ulteriore indizio, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che il calcio non è più un’isola felice, se mai lo è stato, ma rispecchia semplicemente i tempi in cui viviamo.
Questa consapevolezza, poi, non è certo figlia dell’attuale situazione della società neroazzurra: è probabilmente dal primo Calcioscommesse del 1980, dalle auto della Guardia di Finanza sulle piste di atletica degli stadi a prelevare giocatori fin dagli spogliatoi, che è finita l’età dell’innocenza in Italia, così come in Europa è dagli incidenti negli stadi provocati dagli Hooligans e culminati con la tragedia dell’Heysel che si è capito che il calcio non era più distaccato dalla società, ma era diventato esso stesso un fenomeno sociale in cui si sarebbero rispecchiate le poche virtù e le tante storture della società stessa.
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