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Ragione e Sentimento

La Storia insegna che un personaggio, o un evento, per entrare nel Mito deve morire.

È una definizione forse anche un po’ macabra, che rende il senso della cosa, ed è quanto accaduto con l’esonero di Claudio Ranieri dalla guida del Leicester. Meno di un anno fa festeggiavano l’impresa sportiva probabilmente più clamorosa di sempre, la vittoria della Premier League, si trovano, ora, nelle acque tempestose di chi lotta per non retrocedere.

Per dare un esempio di quello che è stato questa vittoria, che possa poi anche cercare di spiegare la situazione attuale, bisogna ricorrere all’allegoria. I giocatori del Leicester possono essere paragonati a quei mendicanti che giravano intorno alle tavole dei ricchi, in attesa di qualche avanzo che cadesse dalle tavole riccamente imbandite e che potesse contribuire alla loro sopravvivenza, in questo caso ai confini del calcio che conta. All’improvviso essi si sono ritrovati non solo seduti a quei tavoli, ma addirittura padroni degli stessi, senza limiti a quello che potevano prendere, fino all’ovvio senso di appagamento da sazietà. Mentre, però, in chi è abituale frequentatore di quei deschi questo appagamento è ciclico, in chi non lo è deve essere sembrato il definitivo raggiungimento dell’Eden, con impossibilità di riprendersi.

Ecco allora che il blocco granitico a difesa della porta di Kasper Schmeichel si è sfaldato, il micidiale contropiede manovrato orchestrato da Danny Drinkwater e finalizzato da Jamie Vardy appesantito dall’appagamento e dissolto nella nebbia dei ricordi. Fatale, allora, che come Ranieri era stato giustamente esaltato per il raggiungimento dell’impresa, venga ora esonerato come “capro espiatorio” di questa situazione.

Qui subentrano ragione e sentimento. La fredda ragione dei numeri ci fa comprendere come anche logica sia la decisione della società che vede in pericolo la permanenza in  Premier e prende il provvedimento classico di sempre, l’esonero del tecnico, nella speranza di dare una svolta. È quella stessa ragione che avrebbe consigliato a Ranieri di lasciare il giorno dopo la fine dei festeggiamenti per la storica impresa, consapevole di avere vissuto un’irripetibile unicità. Ecco, allora che subentra il sentimento, l’attaccamento a quei colori, a quei ragazzi che gli hanno permesso di centrarla, quell’impresa, tanto unica quanto storica.

Un sentimento di attaccamento comune: basti pensare all’Enzo Bearzot del 1982, incapace di staccarsi, poi, dai suoi “figli” che avevano regalato a lui e all’Italia un titolo mondiale dopo quarantaquattro anni, fallendo mestamente al Mondiale messicano del 1986. O pensare al Marcello Lippi Campione del Mondo nel 2006 in Germania, prima dimessosi, che al suo rientro richiamò tanti dei suoi pretoriani che avevano contribuito all’impresa, salvo consegnarsi al fallimento annunciato di Sud Africa 2010.

Ragione e sentimento, allora, ancora una volta si trovano a confronto, generando un pareggio, né vincitori, né vinti: ha ragione chi ha preso una decisione impopolare, ma tecnicamente ineccepibile, per stimolare una truppa appagata; ha ragione chi è rimasto, dimostrando di essere guidato da passione e attaccamento, ancora esistenti all’epoca dello sport business. The King is dead, long live the King…

 

 

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