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La lunga estate calda

È stata (ed è ancora) la solita calda, folle, estate quella che hanno vissuto gli “orfani del pallone rotolante”, tutti quelli cui crea malinconia da mancanza questo breve, ma pur salutare, periodo in cui il calcio giocato è fermo.

E parliamo solo di calcio giocato, invero, perché il pallone è un mondo che non dorme mai, ed ecco allora che si popolano i sogni e le speranze dei tifosi per questo o quell’acquisto calcistico, per questo o quel campione che viene ad indossare i colori del nostro cuore.

Da questo punto di vista le temperature sono state molto più che “luciferine”, con i termometri spaccati dalle vicende Donnarumma, Verratti e company, ma soprattutto dal passaggio – monstre (per le cifre) di Neymar dal Barcellona al Paris St. Germain, scavalcando ed ignorando bellamente i limiti imposti dalla Uefa e dal suo fair play finanziario che, a quanto pare, deve essere abbastanza semplice da aggirare. Tralasciamo a chi di competenza eventuali verifiche e probabili, per quanto inutili, sanzioni, qualcosa ci permettiamo di dire dal punto di vista morale.

Qui non vogliamo discutere sull’entità stessa della folle cifra spesa: ognuno è libero di impiegare i propri soldi come crede, se lo sceicco Tamim Al-Thami, tramite il presidente Nasser Al-Khelaifi, si diverte così è un problema suo, e prima di fare alzate di scudi sull’etica dobbiamo anche pensare che sono soldi che, in ogni caso, vengono immessi nel circuito calcio.

In realtà credo che le attenzioni debbano essere spostate proprio sui giovani protagonisti di questi affari, vere merci di scambio i quali non si sono accorti, probabilmente offuscati dai tanti soldi che guadagnano, di avere riportato il loro status a quello di quarant’anni fa, prima di quella legge Bosman che, in certo qual modo, li aveva resi padroni di se stessi. Oggi, però, non sono padroni di nulla, perché i loro destini sono decisi da procuratori senza scrupoli, veri squali nel variopinto oceano del pallone, che hanno nel mirino solo il (proprio) guadagno da fare attraverso i calciatori, giocando sul loro orgoglio, facendo loro credere che il milione di euro in più o in meno guadagnato, nel computo di cifre esagerate, serva a marcare il terreno nel nome di una supremazia illogica quanto effimera.

L’unico vero attore che ci rimette in tutto questo è il tifoso, che di suo, passivamente, non pensa a tutto questo, osannando il campione che appena arrivato indossa la sciarpa e bacia la maglia, quella è la squadra per la quale ha sempre tifato, fa nulla se magari fino a poche ore prima indossava la maglia dei più acerrimi rivali. Si sa, il tifoso è un animale senza raziocinio, cui interessa solo sognare, e a volte proprio solo quello, un infinito “Sabato del Villaggio” in cui il dì di festa è la vigilia, perché poi l’evento stesso, come l’alba, fa svanire i sogni riportando la logica del più forte al comando.

La verità è che oggi parole come etica e correttezza sono svanite dal vocabolario calcistico, e non solo quello, così come quella di Campioni con la “c” maiuscola, e di bandiera. In un momento storico in cui vediamo le nostre sicurezze messe a dura prova da terrorismi vari e rigurgiti di guerra fredda che ci farebbero anelare figure di riferimento almeno in quello che è il nostro sport più amato, ci ritroviamo a dover “tifare” per gente senza patria, la peggior specie di migranti, altro grande problema di questi tempi grami, veri mercenari senza bandiera eppur pronti a baciare tutte le bandiere, purché foderate di soldi.

 

 

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