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Il Valore dei Miti

 

Una delle preoccupazioni più grandi che si accomunano ad un evento sportivo è la violenza che si può ingenerare intorno a dentro ad esso.

Naturalmente, per le passioni che provoca e, soprattutto, per la grande massa di persone che coinvolge, è il calcio che spesso finisce nell’occhio del ciclone per episodi che, con lo sport, non hanno nulla a che vedere: dalle contestazioni violente di questi giorni al Chievo Verona (ex oasi felice e incontaminata della nostra Serie A), al becerume che non manca mai in nessuna curva dei nostri stadi, alle preoccupazioni per le guerriglie che minacciano di far scoppiare i vari gruppi ultras organizzati durante i prossimi Mondiali in Russia.

 

Una violenza gratuita che non dovrebbe avere cittadinanza a corollario di qualsiasi evento sportivo. In Italia, soprattutto, intorno al calcio che è lo sport nazionale, è facile assistere a squallidi spettacoli di intemperanze, il più delle volte, per fortuna, dialettica, ma non per questo meno spiacevoli, violenti e pericolosi. Il tutto figlio di una cronica mancanza di cultura che non ci permette di avere rispetto dell’avversario, visto come un nemico da abbattere e non come semplice antagonista da superare, una mancanza che non ci permette di incitare e inneggiare semplicemente alla nostra squadra, con frange di tifoserie che si lasciano andare a cori dispregiativi, spesso anche a sfondo razzistico contro gli atleti di colore, non rispettando nemmeno quei giocatori che, purtroppo, eventi incidentali si sono portati via anzitempo.

 

Il “bestiario” conta innumerevoli episodi: dai cori che vorrebbero un Vesuvio “giustiziere” dei napoletani, manco non fossero questi italiani e abitanti di una delle più belle città del mondo, a quelli che disprezzano i poveri morti dell’Heysel o figure di giocatori grandi esempi di sportività e lealtà quali furono Giacinto Facchetti o Gaetano Scirea. Mancanza di cultura sportiva, dicevamo, e mi ha lasciato particolarmente basito un piccolo articolo uscito sulla Gazzetta dello Sport (06/05/2018, Il mito del Grande Torino e il paragone sbagliato, di Andrea Schianchi), bibbia dello sport nostrano e solitamente attenta proprio alla preservazione e trasmissione dei valori dello sport.

 

Ebbene, in questo suo breve occhiello l’autore in pratica si scusa, presumibilmente con i tifosi del Torino, per aver paragonato la grande vis agonistica di quella squadra tragicamente perita il 4 maggio del 1949 con quella che abitualmente mettono in campo i giocatori dell’attuale Juventus. Ma scuse di cosa? Quale messaggio intrinseco trasmette l’autore? Quello che non si possono paragonare due squadre notoriamente rivali, perché si farebbe un atto di lesa maestà perché mai e poi mai si dovrebbe paragonare qualcosa del Torino ai loro rivali cittadini. Il messaggio che passa, però, secondo me, è totalmente negativo, perché non ci può essere niente di blasfemo a paragonare una delle forze dell’attuale Juventus a quello che era uno dei cardini di quell’immensa squadra granata.

 

È proprio da chi comunica e informa che dovrebbe, invece, arrivare il giusto messaggio di cultura, sportiva in questo caso, in cui non ci può essere blasfemia a paragonare il passato con il presente, anche se di diverso colore sportivo. Dimenticando, fondamentalmente, una cosa: il Grande Torino, Facchetti, Scirea, ma anche Dino Zoff, Gianni Rivera, Sandro Mazzola, Gigi Riva, l’inarrivabile Diego Armando Maradona, gli attuali Cristiano Ronaldo e Leo Messi, e i tanti che potrei citare in un infinito elenco di grandi, anche di altre discipline sportive, non possono e non devono essere circoscritti negli angusti confini di una tifoseria, ma sono patrimonio di tutti coloro che vivono il calcio e lo sport in generale. I Miti non hanno colori o confini, ma sono di tutti.

 

 

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