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Campionato o Coppa?

 

I quarti di finale delle due Coppe Europee appena conclusisi hanno regalato amarezze al calcio nostrano, come purtroppo capita ormai da anni in campo internazionale, ma anche spunti di riflessione, alcuni dei quali vale la pena approfondire.

È stata la settimana che ha visto costretta la Juventus a rinunciare per l’ennesima volta alla sua ossessione, “la Coppa dalle Grandi Orecchie”, estromessa dall’Ajax, ciclicamente ritornante sui palcoscenici europei e sicuramente la miglior squadra per gioco espresso in questo momento.

Ai bianconeri si è aggiunto il Napoli, a dire il meglio del nostro calcio visto che i partenopei sono secondi in Italia, fuori dall’Europa League ad opera dell’Arsenal, ma Insigne e compagni, nonostante i proclami, non sono mai sembrati compenetrati e convinti di arrivare in fondo a questa competizione, delusi, forse, dalla “retrocessione” dalla più nobile Champions. In realtà, probabilmente al Napoli fa male la scarsa considerazione che ha l’Europa League nell’ambito societario, considerata quasi un fastidio, come più volte affermato dal presidente Aurelio de Laurentiis, in realtà importante proprio perché rappresenta un titolo internazionale, creando forse nei calciatori un'inconscia forma di scarsa applicazione per vincerla.

Questi gli spunti generici, ma ce n’è uno che mi sembra particolarmente interessante, e cioè la percezione che ha assunto l’importanza della vittoria internazionale nella considerazione di bilancio di una squadra, e la conseguente valutazione soprattutto dell’allenatore che conduce tali squadre.

È possibile mettere in discussione le capacità di un allenatore come Pep Guardiola, probabilmente l’unico tecnico al mondo capace di caratterizzare, con il suo gioco e la sua filosofia, qualsiasi squadra conduca di qualsiasi nazione, si tratti di Germania (Bayern Monaco) o Inghilterra (Manchester City), oltre che la Spagna (Barcellona), naturalmente? Oppure un riconosciuto santone della panchina come il nostro Carletto Ancelotti, orgoglio d’Italia, plurivincitore di coppe e scudetti in giro per l’Europa che conta? O ancora Max Allegri, per la quinta volta consecutiva Campione d’Italia con la Juventus (e al sesto scudetto personale in bacheca, aggiungendo quello al Milan), unico in questi anni capace di arrivare a due finali di Champions, pur perdendole, passato da genio a somaro nel breve spazio di tempo che è intercorso tra la vittoria contro l’Atletico Madrid e la sconfitta con l’Ajax?

Questi sono gli esempi più eclatanti di come ormai si sia perso il senso della misura, se ma c’è stato in Italia, dove abbiamo la capacità di far convivere nelle stesse persone “santità” e “diavoleria”, dottor Jekyll e Mister Hyde, per rimarcarle a seconda delle situazioni, il tutto acuito dai social che stanno trasformando tanti in competenti, sì, ma dell’effimero.

La domanda finale che resta da porci è allora su quale deve essere il parametro di giudizio nella valutazione della stagione di una squadra  e di un tecnico: quello che riesce comunque a vincere nel corso di quelle stesse stagioni scudetti e coppe nazionali assortite, oppure si conta solo l’ambito internazionale (Campionato o Coppa), e allora puntiamo a costruire da subito la paventata Super Lega, mettiamoci i più forti dentro, riduciamo i tornei nazionali a tornei da bar, dispute di paese oltre che plebee di nessun valore, abbandonando quelle tradizioni storiche che hanno permesso la diffusione di questo sport. Ai posteri, e ai leoni da tastiera, l’ardua sentenza.

 

 

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