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Il derby dei due Papi

Senza offesa per Klose e Biglia, i due laziali che pure si vedranno “l’un contro l’altro armati”, è stato già ribattezzato il derby dei due Papi il big match in programma domenica al Maracanà di Rio de Janeiro, degno suggello di questo entusiasmante Mundial.

Da una parte, Papa Bergoglio, aficionado di calcio e notoriamente gran tifoso del San Lorenzo, dall’altra il Papa emerito Benedetto XVI, originario di Marktl in Baviera, che non ha tuttavia mai esplicitamente esternato le sue preferenze calcistiche. E se la corazzata tedesca, passata come un rullo compressore sulle macerie del Brasile del contestatissimo Scolari, si presenta all’appuntamento come la favorita di rito, l’Albiceleste ha sempre nella sua faretra le micidiali frecce di Lionel Messi, oltre ad una solidità a centrocampo che vede in Mascherano il suo massimo esponente. Ma, al di là di quello che partorirà il campo, si possono già fare alcune considerazioni su quello che ha detto il Mundial 2014.

 

Tornando in particolare a Papa Bergoglio, lui il suo mundial lo ha già vinto. Il 12 giugno scorso, nell’immediata vigilia della prestigiosa kermesse brasiliana, Papa Francesco aveva affidato a un videomessaggio il suo auspicio a organizzatori, giocatori e spettatori, affinché trasformassero la competizione in una festa di solidarietà tra i popoli. Il Santo Padre aveva inoltre posto in evidenza tre lezioni di pratica sportiva, tre atteggiamenti essenziali per la causa della pace: la necessità di allenarsi, il fair play e il rispetto tra i concorrenti. Sul primo punto aveva affermato: “In primo luogo lo sport ci insegna che, per vincere, ci si deve allenare. Possiamo vedere in questa pratica sportiva, una metafora della vita. Nella vita bisogna lottare, 'allenarsi', impegnarsi per ottenere risultati importanti”. Sul fair play: “Per vincere, bisogna superare l'individualismo, l'egoismo, tutte le forme di razzismo, di intolleranza e strumentalizzazione della persona umana”. Infine sul rispetto reciproco: “Il segreto della vittoria non solo in campo, ma nella vita, è quello di imparare a rispettare non solo il compagno di squadra, ma anche l'avversario. Nessuno vince da solo, in campo o nella vita!...E se è vero che alla fine di questo mondiale, soltanto una squadra nazionale esibirà la Coppa del vincitore,…tutti saremo vincitori rafforzando i legami che ci uniscono".

 

Indipendentemente da quelli che sono stati i risvolti squisitamente tecnici che questo mondiale ci ha lasciato, è innegabile che, al di là delle manifestazioni di protesta alla vigilia della competizione, della violenta rabbia espressa da alcuni tifosi verdeoro subito dopo lo storico crollo casalingo con la Germania, e alcuni, per fortuna rari, scontri di gioco, mai particolarmente cattivi, organizzatori, giocatori e spettatori sembrano aver risposto presente all’appello di Papa Bergoglio.

 

Tra le immagini emblematiche che già scorrono nel flash-back del torneo, rimarranno indelebili nei nostri occhi, tra le altre, quelle dell’allenatore spagnolo Del Bosque che, dopo l’1-5 con l’Olanda, va consolando uno ad uno i suoi giocatori, o quella dell’australiano Mark Bresciano che aiuta un bambino con le stampelle ad allacciarsi le scarpe, o ancora quella del brasiliano David Luiz che abbraccia il cileno James Rodriguez nell’ammirevole tentativo di frenare il suo pianto disperato dopo l’uscita della sua squadra dal torneo, proprio ad opera dei padroni di casa, senza sapere che, di lì a poco, anche lui avrebbe vissuto lo stesso dramma. E si potrebbe continuare a infinito. Non vogliamo illuderci, ma sembra proprio che, almeno in questo mundial, a vincere sia stato proprio il messaggio di Papa Francesco che “il calcio è anche un’opportunità di dialogo, comprensione e reciproco arricchimento umano”. 

 

 

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