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Gli Eroi di Cartapesta

Può sembrare che ne scriviamo in ritardo, ma la nostra è solo una scelta: abbiamo deciso di parlare dello sport attraverso le passioni delle discipline, non vogliamo lasciarci trasportare dalle emozioni quando si tratta di fatti che poi con lo sport hanno poco a che fare, perciò abbiamo preferito far sedimentare gli eventi per parlarne con il maggior raziocinio possibile.

Non avevano convinto quasi nessuno le lacrime con cui Alex Schwazer fece la sua conferenza stampa dopo la positività al doping ai Giochi Olimpici di Londra dell’anno scorso. All’epoca ci sorse spontanea una domanda, perché, motivandola con la difficoltà dello stesso ad ammettere i propri limiti (“Schwazer, l’incapacità di uscire dal cono del successo”, www.altroquotidiano.it, 09/08/2012). Ora, dopo le ultime rivelazioni, viene fuori anche un quadro di premeditazione. Quello che è veramente inquietante è il coinvolgimento correo di coloro che dovrebbero controllare: l’Italia è, e resta, uno dei paesi all’avanguardia nella lotta al doping, ma è chiaro che se essa risulta inquinata da elementi complici, resta tutto molto difficile. Nel caso in questione, poi, si è aggiunta l’indignazione per il linguaggio usato dallo stesso Schwazer, offensivo nei confronti dei napoletani. Non avrei voluto commentare una cosa che si commenta da sola (anche per questo ne parlo in ritardo, e su sollecitazione del mio editore), una cosa in cui chiunque abbia un minimo di intelligenza capisce di trovarsi di fronte ad una persona per lo meno malata, disconnessa dalla realtà. Con questa affermazione il buon Alex non offende solo i napoletani, ma l’intero popolo italico che lo ha eretto a suo eroe, salvo sentirsi defraudato, dimostrando una doppia personalità che non induce al pietismo, ma solo alla commiserazione.

Schwazer è solo la punta di un iceberg che coinvolge tutto il mondo sportivo nella infinita lotta al doping, dall’ultimo Jan Ullrich al precedente Lance Armstrong nel ciclismo, al danese Mad Glaesner nel nuoto, fino al recente coinvolgimento della campionessa olimpica dell’atletica, la giamaicana Veronica Campbell, fatto, quest’ultimo, che lancia qualche ombra inquietante anche su Usain Bolt, vessillifero di quel movimento. Prima che gli sportivi, però, coinvolge uomini mitizzati da altri uomini, eletti ad eroi di un Olimpo che poi si rivela di cartapesta, in realtà statue fragili, con i piedi d’argilla, forse più vittime che colpevoli di un sistema che vuole nutrirsi di eroi a tutti i costi. Proprio questo porta atleti normali a cercare di superare limiti che poi risultano invalicabili, ad andare sempre oltre, ma poi fatalmente destinati a cadere dal piedistallo, perché l’opinione pubblica ricerca sì eroi, ma capaci di imprese nei limiti dell’umano, con il solo sacrificio dovuto alle proprie forze.

  

  

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