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Deriva iberica, Italia in scia

Mi è capitato di leggere in questo giorni un interessante articolo di Santiago Segurola, editorialista dello spagnolo “Marca”, sul momento del calcio della penisola iberica (“La scandalosa dittatura di Barça e Real”, La Gazzetta dello Sport, 12/07/2013).

Il suo è un lungo lamento, rimarcando come, per cattiva gestione, ma soprattutto per aver permesso lo strapotere economico, e quindi tecnico, di Barcellona e Real Madrid, “ha emesso e tollerato la propria sentenza di morte”. La sperequazione nella divisione dei diritti televisivi ha portato ad avvantaggiarsi solo le due protagoniste classiche della Liga, relegando le altre a ruoli di men che comprimari, trasformando il torneo spagnolo solo in un “pascolo” per le due big. Ma “la vittoria della Liga con 100 punti e più di 110 gol da parte di una squadra come il declinante Barcellona dello scorso anno non è un segno di forza ma indica piuttosto un problema di salute. E la riprova la si è vista in Europa, contro il Bayern”. Naturalmente, tutto quello che ha scritto Segurola è esatto e pienamente condivisibile, quello che ha fatto scattare la molla del mio interesse particolare è stato soprattutto il fatto che la situazione generale descritta, e alcuni passaggi dell’articolo, sono un drammatico specchio di quello che è, o è destinato a diventare, anche il nostro calcio. Innanzitutto, sul problema della gestione dei diritti televisivi in Spagna l’evidenza è ancora più marcata, ma anche in Italia le squadre “da audience” sono favorite e percepiscono più soldi: questo, però, finisce per allargare sempre più la “forbice” tra poche grandi (Juventus, Inter, Milan, Napoli) e tutte le altre, tant’è che basta scorrere l’albo d’oro degli ultimi anni per accorgersi che nelle ultime dodici edizioni lo scudetto non ha deviato dall’autostrada Torino (Juventus) – Milano (Inter – Milan). Tutto questo comporta che le squadre più piccole, non potendo competere, devono ridursi a crescere talenti, dove ci sono, da esportare. “L’emorragia di cui è vittima il calcio spagnolo è impressionante. La Spagna produce grandi giocatori, ma sembra sempre più simile a Brasile e Argentina. Ogni anno la Liga si impoverisce per la massiva esportazione di talenti”. Vero anche per il nostro calcio: fino a pochi anni fa era impensabile che calciatori di livello (gli attuali top player) dall’Italia potessero andare in altri paesi. Oggi, oltre a giovani di valore (Verratti, Borini), anche stranieri importanti, dopo aver calcato i prati dei nostri campi, preferiscono altri lidi (Francia, Inghilterra, Russia). La ricetta per la rinascita e per ridiventare faro del calcio in Europa c’è, ed è sempre la stessa: una più equa distribuzione delle risorse che non favorisca pochi a  discapito di molti, al fine di rendere più competitivo il campionato; una riduzione del numero delle squadre partecipanti allo stesso, consentendo, di conseguenza, la disponibilità di date anche per le nostre Nazionali, oltre ad un minore stress dei giocatori delle stesse; investire di più sui giovani; nuovi stadi, in cui il pubblico possa finalmente ritornare ad affollare le gradinate ed esultare per i propri colori. Le tribune semivuote che vediamo ora rischiano di trasformare le attuali lamentazione nel “De profundis” del nostro calcio.

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