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Correre dietro le sbarre

Io corro come il vento che soffia. 

Si è svolta domenica 6 aprile contemporaneamente in 44 città italiane e 10 straniere la XXXI edizione del Vivicità 2014, manifestazione podistica organizzata dall'Uisp-Unione Italiana Sport Per tutti, con classifica unica compensata. Ben 70000 le persone coinvolte nelle varie sedi, tra cui Sarajevo, dove Vivicittà si correva per la XX volta. A vincere le classifiche compensate, sono stati Sonja Stolic, che ha corso proprio nella capitale bosniaca e Daniele Caimmi, impegnato invece nella gara di Ancona.

Ma la pecularietà di questa manifestazione è che, come già avvenuto in passato, si è corso anche in alcuni istituti di pena, a Rebibbia (Roma) e Opera (Milano) sulla canonica distanza dei 12 km, con percorsi più brevi in altre sedi, con iscrizioni aperte anche agli esterni. Emblematico il fatto che il via sia stato dato da Radio 1, in diretta, proprio dal carcere di Rebibbia. Che lo sport, la corsa in particolare, in determinati contesti, possa diventare strumento di riscatto e occasione per dimostrare di essere "vivi", anche quando respirare è l'unica prova di un'esistenza, non è una novità assoluta.

Era addirittura il 1959 quando la penna dello scrittore inglese Alan Sillitoe partoriva: "The Loneliness of Long-Distance Runner", successivamente tradotto in italiano "La solitudine del maratoneta". Il libro, ripubblicato in Italia a 50 anni dalla sua prima comparsa in libreria, racconta di un ragazzo, finito in riformatorio in seguito a un furto, al quale il direttore dell'Istituto nel quale è recluso promette, una volta scontata la pena, di facilitarne il reinserimento nella società. In cambio, il ragazzo dovrà vincere un'importante gara di corsa, aperta agli ospiti di tutti le carceri d'Inghilterra.

Il protagonista, però, dal carattere ribelle e irrequieto, e per nulla convinto della buona fede del direttore, finge inizialmente di piegarsi al ricatto. Accetta di allenarsi duramente, soprattutto per sfruttare e vivere intensamente i momenti di libertà che l'allenamento gli regala. Poi, il giorno della gara, quando è ormai sulla dirittura d'arrivo, rallenta volutamente, lasciandosi superare. Per il direttore è l'oltraggio, che si aggiunge alla sconfitta e alla perdita di prestigio del suo istituto. Per il ragazzo, paradossalmente, non vincere è la più bella delle vittorie, è dimostrare di poter decidere qualcosa anche in un posto dove sembra che siano solo gli altri a decidere per te.

Oggi, per fortuna, molte cose sono cambiate nei penitenziari, anche se il sovraffollamento e le carenze di mezzi e personale creano spesso situazioni di grande criticità. Senza voler trovare necessariamente delle similitudini con il racconto di Sillitoe, è bello pensare che uomini liberi e non abbiano corso, almeno per una volta, insieme, chi con l'obiettivo di vincere, chi con quello di solidarizzare, chi con quello di mostrare al mondo e a se stessi che nella vita si può sbagliare, ma si può anche cambiare e rinascere a nuova vita. Ancora più bello pensare che tutto questo sia stato possibile grazie allo sport, quello con la "S" maiuscola. Per la cronaca, la speciale corsa nella corsa degli istituti di pena è stata vinta da Angelo Iannelli, atleta delle Fiamme Azzurre, ma ci sentiamo di poter dire che, mai come questa volta, hanno vinto tutti. 

 

 

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