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Boston stronger

Il 15 aprile 2013 era finita con decine di corpi di corridori e semplici spettatori riversi sull’asfalto in prossimità della finish line (lo striscione d’arrivo), dappertutto magliette sporche di sangue e scarpette da running di tante marche famose disseminate ovunque.

Non era pubblicità occulta, ma il tragico, realistico, spot del terrorismo. Pochi istanti prima, una doppia esplosione, provocata da rudimentali, ma micidiali, ordigni, confezionati dai due fratelli ceceni Tsarnaev, aveva richiamato alla mente degli americani, e non solo, lo spettro degli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Alla fine, il bilancio sarebbe stato di 3 morti e oltre 260 feriti. Lunedì scorso, Boston ha voluto dare la sua risposta di ribellione silenziosa a un atto di violenza che, almeno nello sport, ha pochissimi precedenti. Lo ha fatto schierando sulla linea di partenza della maratona più vecchia del mondo (1897) circa 36000 corridori, ognuno con la sua piccola storia da raccontare, tutti venuti a testimoniare solidarietà alle vittime e a gridare al mondo la loro voglia di sport e di pace. Così la vincitrice femminile, la keniana Rita Jeptoo, la cui vittoria dello scorso anno era ovviamente passata in secondo piano.

Così Meb Keflezighi, americano di origine eritrea che, correndo con i nomi delle vittime sul pettorale, si aggiudicava la 118ª edizione della gara con il tempo finale di 2h 08’36”, riportando gli Stati Uniti in cima al podio dopo 31 anni. Così il nostro Gianni Morandi che, sia pure con qualche problema fisico, ha voluto comunque portare a termine la sua fatica con un tempo vicino alle 5 ore. E così tantissimi altri, impossibili da menzionare tutti, ma tutti ugualmente degni di un plauso.

L’anno scorso, subito dopo l’attentato, venne coniato lo slogan “Boston strong”. Quest’anno si è passati a “Boston stronger”, a significare che la reazione del mondo dello sport, soprattutto amatoriale, a ogni tipo di violenza e sopraffazione, sarà sempre “più forte”, pur rimanendo nei limiti della passione e del rispetto dell’essere umano. Con questo spirito che anima e ha sempre animato organizzatori e partecipanti, non è difficile comprendere come la Boston marathon sia arrivata sino ai giorni nostri senza mai saltare un’edizione nei suoi 118 anni di vita, sopravvivendo addirittura a due conflitti mondiali. 

 

 

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