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Medaglie rosa

Nell’incerta estate agostana che si appresta ad abbandonare la nostra penisola, con i suoi rigurgiti di calore e gli aliti di fresco, lo sportivo italiano, soprattutto quello “da poltrona”, ha modo di poter esultare.

In una sorta di anno sabbatico dal punto di vista calcistico, senza grandi competizioni su cui concentrare le attenzioni, e con le amichevoli che poco coinvolgono per i tanti lavori in corso, il nostro cuore è riscaldato dalle imprese sportive delle donne.

In una difficile epoca, in cui si paventa una presunta “parità dei sessi”, ma in cui vige una visione femminile troppo spesso ancora legata a retaggi medievalistica o arcaici, in cui le rappresentanti del gentil sesso sono spesso vessate (se non discriminate), proprio loro, con la loro capacità di sofferenza e di resistenza ci regalano grandi imprese e si meritano degni onori. Si è iniziato nelle acque di Barcellona, ai mondiali di nuoto dove, tra la delusione generale per un bottino di medaglie che ci aspettavamo più pingue, abbiamo festeggiato l’oro della fatica, quello di Martina Grimaldi, capace, dopo ben venticinque chilometri di bracciate, di avere le energie per vincere al fotofinish.

A questo vanno aggiunti gli argenti di Tania Cagnotto nei tuffi e di Federica Pellegrini nel nuoto. Qui mi preme fare un piccolo inciso, dissociandomi dai commenti generali: ritengo, infatti, immensa l’impresa della Grimaldi, ma i media hanno esaltato di più l’argento della veneta, che però non mi pare esente da colpe nel fallimento generale della spedizione. Capisco il culto dell’immagine di cui si può considerare vessillifera, ma quando si scende nell’agone bisognerebbe spogliarsi del divismo e mettere in gioco solo le proprie capacità e talento. La Pellegrini ne ha tanto e credo che potrebbe regalarsi e regalarci maggiori soddisfazioni concentrandosi più sulla propria disciplina.

  

 

Da Barcellona si è passati a Suhl, in Germania, dove, agli europei di tiro a volo abbiamo esultato per i due ori conquistati da Jessica Rossi e per gli altrettanti di Chiara Cainero. Anche qui un inciso: in omaggio proprio alla loro femminilità, la Cainero ha ottenuto il suo risultato incinta di cinque mesi, quasi a dare un monito alle donne stesse, che possono essere vincenti non travisando la loro natura. Dall’esultanza tedesca a quella ungherese, ma le vittorie della scherma femminile ai mondiali di Budapest sono tutt’altro che sorprendenti: in questa disciplina i campioni da battere siamo noi. Ha iniziato Arianna Errigo conquistando l’oro nel fioretto individuale, ha proseguito il Dream Team ancora con la Errigo, con Elisa Di Francisca, a sua volta bronzo individuale, con Carolina Erba e l’eterna Valentina Vezzali (da poco mamma per la seconda volta, tanto per riagganciarci a quanto scritto sopra per la Cainero), che hanno avuto la meglio sulla Francia, continuando una tradizione vincente iniziata nel lontano 1992.

Il nostro tour europeo termina a Mosca, ai mondiali di atletica: ci siamo presentati con scarse possibilità di medaglie ma, nella maratona femminile, è arrivata subito l’impresa de Valeria Straneo. Questa signora trentasettenne, diventata professionista da poco, in una specialità difficile come la maratona, ha messo in fila tutte le rivali più accreditate, arrendendosi solo alla fine alla keniota Edna Kiplagat, campionessa uscente che ha confermato il titolo. È un argento che luccica più dell’oro, quindi, quello vinto dalla signora alessandrina, e ci dimostra come, a parità di metallo, il valore può essere diverso (ritornando al discorso fatto per la Pellegrini in precedenza). E i maschietti, in mezzo a tutte queste vittorie in rosa? A esultare davanti ai televisori…

  

  

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