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Un passo dietro l'altro...

Come si può misurare il successo? Si può quantificare secondo parametri misurabili, ad esempio altezza, peso, lunghezza, capacità?

Secondo un luogo comune, tendiamo ad individuare il successo con il bello, l'aitante, il prestante,  nello sport con quegli atleti che sono anche prototitpi di bellezza puramente estetica. Atleti formidabili, incarnazione di una bellezza scultorea, come ci è stato tramandato dalle statue greche, che esaltano la perfezione fisica, e che possiamo ritrovare in Usain Bolt, in Rafa Nadal, in Cristiano Ronaldo e in tanti altri. È un luogo comune, appunto, perché in realtà il successo si può trovare in qualsiasi persona, non dipende dalla bellezza ma dal talento, dalla capacità di sacrificio, dalla voglia di voler primeggiare.

 

Tutte queste qualità si erano concentrate in una piccola donna, uno scricciolo, forse anche improbabile come atleta, che tra l'altro aveva scelto una disciplina in apparenza altrettanto improbabile, rappresentazione pura della fatica, la marcia. Questo è stato, ha incarnato, Annarita Sidoti. Nel metro e mezzo che raccoglieva la quarantina di chili del suo peso si erano concentrate il talento e la capacità di sofferenza che richiedono questa disciplina, tanto da raggiungere vette importanti e conquistare medaglie prestigiose per l'atletica italiana.

 

Iniziò presto a macinare chilometri, con il caracollare tipico di quel particolare tipo di corsa, il primo oro significativo lo conquistò  nel 1990, agli Europei di Spalato, nella competizione più dura e difficile, sulla distanza più lunga, i dieci chilometri. Un passo dietro l'altro, quasi non accusando la fatica e il dolore ai muscoli, si avvicinò  decisa al suo anno d'oro. È  il 1997, ad Atene, patria olimpica per antonomasia, ma nel contesto competitivo dei Mondiali, che la piccola siciliana, sempre un passo dietro l'altro, mette alle sue spalle tutte le concorrenti, conquistando il primo posto e la medaglia d'oro. Non altrettanto fortunate le sue partecipazioni olimpiche, ad Atlanta nel 1996 e a Sidney nel 2000, ma sempre affrontate con lo spirito di sacrificio necessario per affermare la sua partecipazione.

 

Poi il ritiro dalle gare e la famiglia, prima di intraprendere la gara più dura e difficile. Cinque anni è durata la sua battaglia contro il male, avendo come traguardo, un passo dietro l'altro, la medaglia di un nuovo giorno da vivere. Fino alla fine, fino al traguardo che non regalava medaglie, ma la sconfitta. A quarantacinque anni, il piccolo corpo di Annarita si è arreso, ha smesso di lottare, la forza che innervava quel piccolo corpo si è affievolita sempre di più, fino a spegnersi. Ora, un passo dietro l'altro, con la caratteristica andatura dei marciatori, corre verso il cielo.

 

 

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