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Zio Vuja, il calcio che fu

Ha fatto sorridere il calcio italiano e internazionale con le sue battute, ma non bisogna limitare la figura di Vujadin Boskov al personaggio che il tempo e la memoria hanno tramandato.

Boskov è stato un calciatore di statura internazionale, con cinquantasette presenze nella nazionale jugoslava, giocando esclusivamente nel Vojvodina di Novi Sad, con gli ultimi anni della carriera agonistica spesi in Italia, proprio alla Sampdoria che segnerà il suo futuro di allenatore, e allo Young Boys in Svizzera. Terminata la carriera agonistica, inizia quella di allenatore che lo trasforma in autentico giramondo delle panchine, non più bloccato dai vincoli sui calciatori all’estero del suo paese (all’epoca, i giocatori del blocco dell’Est non potevano espatriare prima dei trent’anni). Inizia allo Young Boys in Svizzera, la sua ultima società da calciatore, ritorna in patria e riparte, destinazione Olanda, Spagna, Italia, ed inizia anche a vincere, quello che non ha potuto da calciatore, visto che il campionato jugoslavo era esclusivo appannaggio di Stella Rossa, Partizan Belgrado e Hajduk Spalato. Una coppa in Olanda alla guida dell’ADO Den Haag, un campionato e coppe assortite alla guida del Real Madrid, infine l’approdo in Italia.

 

 

Questo personaggio istrionico ed estroverso ben sposò le sue idee con quel vulcanico, a sua volta, presidente che fu Costantino Rozzi ad Ascoli. Qui il buon Vujandin vinse subito il torneo di Serie B, passando l’anno successivo alla Sampdoria, dove costruì il suo capolavoro. I blucerchiati erano un sodalizio piuttosto giovane nel panorama calcistico nazionale, nato nel 1946, schiacciato dalla storia dei concittadini del Genoa. Fu il presidente Paolo Mantovani a gettare le basi per i successi che investirono la società in una vera “età dell’oro”, la mossa vincente fu affidare la panchina a Boskov. Qui il serbo plasmò la squadra intorno a Gianluca Vialli e Roberto Mancini, con grandi campioni quali furono Gianluca Pagliuca in porta, Pietro Vierchowood, Giuseppe Dossena, Toninho Cerezo, Attilio Lombardi, Fausto Salsano, Srečko Katanec, Oleksij Mychajlyčenko. Con quella squadra fu una cavalcata esaltante fino alla conquista del tricolore, cavalcata che continuò anche la stagione successiva fino alla finale di Coppa Campioni, dove però i blucerchiati non riuscirono a superare l’ostacolo Barcellona.

Ormai Boskov per tutti era diventato “Zio Vuja”, capace, in un mondo sempre troppo carico di tensioni, di piazzare la battuta simpatica in grado di sdrammatizzare il momento, tanto che alcune di queste sono entrate nell’idioma calcistico abituale: “Rigore è quando arbitro fischia”, “Se vinciamo siamo vincitori, se perdiamo siamo perditori”, “Palla a noi giochiamo noi, palla a loro giocano loro” sono solo alcune di quelle più celebri. Finita l’epoca doriana, Boskov approda prima alla Roma, poi un biennio a Napoli con alterne fortune, fino a chiudere la sua carriera pubblica. Ora la malattia e il tempo ce lo hanno portato via, per sempre resterà nella nostra memoria di vecchi sportivi la sua simpatia unita alla grande capacità di allenare e gestire gli uomini, rappresentante di un mondo calcistico che non c’è più ma di cui sempre più si sente la mancanza. 

 

 

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