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Tito, una lezione di normalità

È sempre difficile trovare le parole giuste quando la vita ci sbatte sul muso la sua feroce realtà, portandosi via persone che magari non sono parenti e che nemmeno abbiamo mai conosciuto direttamente, ma che sono entrate a far parte del nostro quotidiano.

È difficile soprattutto quando questa realtà viene a toccare mondi legati all’effimero, alla leggerezza, alla spensieratezza, alla gioia. In fondo, questo è, o dovrebbe essere, il mondo dello sport, sana competizione per i protagonisti diretti, svago per il popolo di persone che ne segue le gesta.

Poi c’è l’esasperazione, che avviene quando lo sport diventa il centro degli interessi, come capita con il calcio moderno, inquinato, in pratica dalla esagerata quantità di denaro che circola intorno e dentro all’evento. Ma la vita, con la cruda realtà di cui sopra, ci fa capire quanto sia inutile esasperarsi per un risultato negativo, per una vittoria o per una sconfitta. Alla grande famiglia del calcio e dello sport è venuto a mancare Tito Vilanova, sconfitto nella lunga, impari, battaglia contro il male.

Non era un protagonista, Tito, in un mondo autoreferenziale, che si nutre di protagonismo. Amico e collega di Josep Guardiola, aveva contribuito con lui a fare la grandezza del Barcellona, i cui ultimi bagliori si stanno probabilmente spegnendo in questo periodo, ma sempre con un passo indietro, pudico e riservato. Protagonista lo era diventato, suo malgrado, due volte: la prima, quando fu designato successore dell’amico Guardiola alla guida diretta della squadra dopo il suo abbandono, sbocco naturale, se vogliamo, nel segno della continuità; la seconda, quando si seppe del suo male.

Sicuramente di questa seconda situazione ha anche sofferto, la ribalta lo aveva costretto a mostrarsi agli occhi del mondo malato, senza poter vivere in privato il suo male, mai ponendo però le sue condizioni di salute al centro dell’interesse mediatico. Aveva vissuto già una prima sconfitta, lugubre segnale di questa definitiva, quando si è visto costretto a lasciare la panchina, il suo lavoro, per potersi curare, uscendo dall’abbagliante ma effimero cono di luce della ribalta con dignità.

Apprendere, ora della notizia della sua morte amplifica il dolore proprio perché la grande famiglia dello sport dimentica troppo spesso che è composta da esseri umani, che in realtà i super atleti o i super ingaggi non fanno dei super eroi, ma solo delle persone che, a volte, possono perdere il senso della realtà, dando importanza alle cose o ai fatti inutili. Vilanova non era un super eroe, ma solo un uomo che ha lottato, è l’uomo, e non lo sportivo, che ora a noi piace ricordare, l’uomo che ha saputo andarsene in maniera silenziosa e dignitosa, lasciandoci una grande lezione di umanità. Grazie di tutto, Tito. 

 

 

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