slogan

Italian Bulgarian English French German Macedonian Maltese Romanian Russian Spanish

Addio alle armi

Non è mai facile porre fine ad una grande avventura, in qualsiasi campo della vita essa possa essere accaduta, a volte è traumatico per una persona dover lasciare il proprio lavoro per raggiunti limiti di età: si crea un vuoto difficile da colmare, una mancanza da rielaborare quasi fosse un lutto, bisogna riorganizzare tutta la propria vita.

A maggior ragione tutto questo quando si è trattato di una vera epopea che ha coinvolto non solo i diretti interessati, ma milioni di appassionati. È il 1986 quando il Gruppo Fininvest diventa proprietario del Milan, il presidente è Silvio Berlusconi, fino ad allora conosciuto soprattutto nell’ambito industriale lombardo. L’inizio dell’avventura non è facile, sembra più coreografico che concreto, all’apparenza figlio di quell’idea di spettacolo di cui Berlusconi è vessillifero con le sue televisioni, forse per raccogliere anche quei consensi, e quella notorietà, che poi gli torneranno utili sulla scena politica.

Ben presto, però, ci si rende conto che dietro le presentazioni in elicottero stile Apocalypse Now, dietro i lustrini e le paillettes si nascondono idee concrete e programmazione seria che subito trasformeranno il Milan in una macchina di vittorie ed in un esempio gestionale da imitare e invidiare. Con il fido Adriano Galliani come braccio destro e factotum, con Arrigo Sacchi in panchina i rosso neri daranno inizio anche a quella rivoluzione culturale calcistica che avrebbe trasportato il calcio nel nuovo millennio, con un occhio in particolare al proscenio internazionale, vero habitat naturale del Milan berlusconiano.

Tutto questo dura da quasi trent’anni ma, come tutte le cose umane, è giunto ormai al capolinea. Gli anni si sono accumulati agli anni, dall’invincibilità si è passati al declino, mascherato fino a un paio di stagioni fa, inesorabile nelle ultime due, in cui la squadra non è riuscita nemmeno a qualificarsi per quelle competizioni internazionali che ne hanno fatto la fortuna e la gloria. Il tutto coincide, ovviamente, con la parabola dello stesso Berlusconi, fiaccato ormai dalle tante battaglie che ha dovuto sostenere dalla sua discesa in campo politica, con idee con il tempo sempre meno condivise.

Gli ultimi anni è stato un continuo tentare di mantenere a livelli dignitosi i risultati della squadra, ma gli eventi sono ormai maturi per un passaggio di consegne, che sarà sicuramente doloroso, chiuderà un’epopea vincente e condita di titoli: otto scudetti, soprattutto cinque Coppe dei Campioni più svariati altri trofei fino ad assommarne ben ventotto. Numeri che indicano da soli la grandezza di questa gestione, cui proprio in nome di questa storia vincente si chiede ora l’uscita di scena dignitosa, per il bene del Milan stesso e del patrimonio che ha saputo costruirsi in questi anni. Saranno probabilmente i thailandesi a raccogliere l’eredità berlusconiana, indicativo di come oggi il calcio business veda queste società come vere e proprie industrie che vanno gestite soprattutto con grossi capitali di investimento che Berlusconi non può più immettere.

Se i capitali sono “esotici” ben vengano, è già capitato agli amati-odiati cugini dell’Inter con l’indonesiano Erick Thohir, se come pare la trattativa con il thailandese Bee Taechaubol andrà in porto potremo anche assistere presto ad un derby meneghino in salsa asiatica, il nostro augurio è  che non arrivino con l’idea di stravolgere la nostra cultura calcistica, cui tanta parte ha fornito anche il Milan dell’era Berlusconi a cui, al di là delle condivisioni e delle polemiche, possiamo solo dire grazie per i tanti trionfi che ha portato, tenendo alto il nome dell’Italia. 

 

 

 

 

(C) RIPRODUZIONE RISERVATA