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Porta chiusa

La Storia dello sport è fatta da uomini che, nella loro disciplina, hanno cercato sempre di andare oltre i loro limiti, raggiungendo l’empireo di chi detiene un record.

Raggiungere un record, migliorarlo, rappresenta le colonne d’Ercole che si spalancano sull’ignoto, il confine tra possibile e impossibile. Per uno sportivo significa innanzitutto andare oltre se stesso, oltre le sue possibilità conosciute.

Un record rappresenta anche una nuova frontiera per la tecnologia, con nuovi mezzi che permettono il compimento dell’impresa, per la medicina, perché permette di verificare fino a che punto la macchina umana può resistere ed andare oltre sollecitazioni massimali. Là dove un record esalta, nello sport, è nelle discipline individuali, in quelli dove il singolo deve andare oltre, sfidando limiti fisici (l’altezza nel salto) o temporali (il tempo che si impiega a coprire una distanza).

Quando avviene il momento in cui si inizia a costruire un record non si sa, perché l’impresa si edifica nel tempo, mattone dopo mattone, con l’idea dapprima lontana, ma che poi prende forma man mano che si succedono le prestazioni. Naturalmente da un certo momento in poi tutta l’impresa si ammanta di epica, tutto diventa eroico, tutti tifano affinché il record si concretizzi, anche quegli avversari che, giustamente e lealmente, faranno di tutto per impedirti di realizzarla.

Oggi, nell’atletica, la disciplina regina di tutti gli sport, ci esaltiamo per le imprese e i record di Usain Bolt, negli anni addietro alcuni record sono andati oltre il loro significato sportivo, tipo quelli stabiliti da Jesse Owens nel 1935, quando in quarantacinque minuti ne realizzò tre eguagliandone un quarto, sempre sul filo del riscatto razziale, come alle Olimpiadi del 1936. In un certo qual modo sono meno esaltanti, ma non meno importanti, i record degli sport di squadra: tralasciamo quelli in cui si realizzano imprese collettive, tipo numero di vittorie consecutive, ma soffermiamoci su quelli individuali nell’ambito della squadra, e non riferendoci magari alle reti segnate da un attaccante, ma all’imbattibilità dei portieri.

È, questo, il tema che dà tutto lo spunto per l’articolo che state leggendo, visto che a Gigi Buffon mancavano solo tre minuti per superare il primato della Serie A detenuto da Sebastiano Rossi di 929’, obiettivo raggiunto nel derby con il Torino. Il buon Gigi, nel frattempo, aveva superato quello che resta il mito del calcio italiano, Dino Zoff, che fermò la sua serie, sempre difendendo la porta della Juventus, a 903’. Sono numeri straordinari, che indicano non solo il valore, ampiamente riconosciuto, di Buffon, ma di tutto il reparto difensivo bianconero.

In un calcio che ha visto negli anni crescere la sua velocità, la bravura è stata quella di riuscire a non incorrere in errori in area di rigore che potessero portare alla massima punizione, di concedere poco agli avversari, quel poco cui ha poi pensato il buon Gigi ad annullare. Buffon di sicuro merita questo record per quanto ha saputo dimostrare nel corso di questi anni, anche con la maglia azzurra, egli sa di dover ringraziare il reparto che principalmente lo protegge e che gli riduce al minimo il lavoro, tutto il mondo del calcio si alza perciò in piedi per tributare il giusto riconoscimento ad un campione di tutti, come lo fu il grande Dino.

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