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Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo

A volte non c'è niente di meglio del titolo di un film per sintetizzare efficacemente una storia, o una situazione, di cui si è testimoni.

È il caso di questi giorni con la vicenda di Francesco Totti e della Roma. Il film in questione, naturalmente, non può essere che quello di Sergio Leone, "Il Buono, il Brutto e il Cattivo", spaghetti-western per eccellenza.

Il Buono, interpretato nel film da Clint Eastwood, ha qui le sembianze del Pupone romanista, ma la scelta non era nemmeno in discussione, visto quanto Totti ha dato alla Roma e quanto riconoscenti gli siano i suoi tifosi. Purtroppo il tempo, inclemente, scorre per tutti, Francesco è ormai ai titoli di coda della sua carriera, ma vorrebbe, giustamente, essere lui a decidere il "the end" della sua vita agonistica, diritto che si è ampiamente guadagnato sul campo.

Qui subentra il Brutto della storia, in questo caso rappresentato dalla società e dal suo presidente, James Pallotta. In ossequio a una gestione affaristica tipicamente americana, che non conosce il sentimento ma solo la ragione del business, come tale egli vorrebbe gestire la squadra e gli uomini che la compongono. É una visione per certi versi logica e anche giusta, visti i capitali investiti ma, che piaccia o no, e per fortuna, aggiungiamo noi, il calcio non può essere trattato come un freddo conto commerciale, perché ha una caratteristica che lo contraddistinguerà sempre, la passione, e dei fruitori finali che conoscono solo le ragioni del cuore, i tifosi.

È a questo punto che entra in gioco l'ultimo elemento del trittico del film, il Cattivo, che non può avere altro che il volto, compreso di pelatina e pizzetto, di Luciano Spalletti. A mio avviso il tecnico sta esercitando il suo giusto diritto a gestire la squadra, come sempre c'è da eccepire sui modi. Siamo tutti perfettamente d'accordo che un gruppo di lavoro deve essere gestito in maniera democratica, al suo interno, però, dei distinguo sono inevitabili, perché è chiaro che certi giocatori hanno un peso specifico diverso rispetto ad altri, e questo è tranquillamente accettato dal gruppo, consapevole che il loro collega contribuisca in maniera determinante alle vittorie.

Si pensi a Maradona, alle sue bizze,  ma a come i compagni lo accettavano, riconoscendone la leadership tecnica. Spalletti, con i suoi modi di fare, con le sue picconate al mito Totti vuole probabilmente dimostrare che la guida è lui, non ha forse capito che questo nessuno glielo nega, ma nemmeno si può pensare di trattare Totti alla stregua degli altri, facendolo entrare nei minuti finali di partite quasi scontate, con l’impressione di volerne sottolineare l'inutilità, o rimarcando, là dove invece è risultato decisivo, la sua uguaglianza rispetto agli altri.

Ma Totti, a Roma e per la Roma, non può essere uguale agli altri. Entrato per l'ennesima volta nel finale della gara col Torino, ha fatto bastare i minuti a sua disposizione per siglare una doppietta e ribaltare il risultato, sottolineando una volta di più che l’ottavo re di Roma è lui. Una risposta da campione, l'unica che può dare appunto un campione, status riconosciuto dallo scontato affetto della folla e dai gesti, quasi di riverenza, dei compagni, e che nessun Brutto, e nessun Cattivo, potranno mai togliere ad un Campione che continua a scrivere la sua leggenda.

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