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El Petisso di Napoli

C’è sicuramente un legame indissolubile, stretto, tra Italia e Argentina, lo dimostrano i tanti nostri connazionali che sono emigrati a quelle latitudini, i tanti loro figli che sono poi tornati nel Bel Paese, che non può considerare adottivi dei figli che sente suoi, anche se nati in terra lontana.

È, forse, nel calcio che questo legame viene particolarmente esaltato, da sempre i figli delle Pampas vengono qui anche a vincere, basti ricordare Luisito Monti e Raimundo Mumo Orsi, o al recente Mauro German Camoranesi, che hanno contribuito anche alle fortune azzurre, vincendo il titolo Mondiale (nel 1934 i primi due, nel 2006 il secondo). C’è poi una terra in particolare, dove essi si sentono a casa come a Buenos Aires, ritrovando il calore della terra natia: Napoli.

Diego Armando Maradona è, ancora e per sempre, il “Re di Napoli”, naturalmente, ma prima di lui un altro argentino era entrato nel cuore dei partenopei: Bruno Pesaola. In comune con il Pibe de Oro, Pesaola ha la piccola taglia fisica, tanto da essere soprannominato il Petisso (il piccoletto) ed un uso quasi esclusivo del piede sinistro, oltre al fatto di farsi amare dai suoi tifosi. La sua carriera italiana, dopo gli esordi nella nativa Avellaneda, sono, però, a Roma, dove alle prodezze calcistiche tra le fila dei giallo rossi alterna quelle mondane della Dolce Vita romana.

Non sono felici, calcisticamente, le stagioni in riva al Tevere, la voglia di tornare a casa è tanta, inatteso giunge invece il passaggio al Novara di Silvio Piola. Qui gioca altre due stagioni, conosce la futura moglie, Ornella Olivieri, che ha una parte fondamentale nel suo passaggio al Napoli. Finalmente il Petisso trova la sua dimensione calcistica, vive un calcio spensierato amato dal popolo, anche se quel Napoli di Achille Lauro sarà avaro di trofei, ma non di isolate soddisfazioni, come quella dell’esordio al “S. Paolo”, dopo aver giocato tanti anni al “Collana” al Vomero, quando contribuì a sconfiggere la grande Juventus di Omar Sivori, John Charles e Giampiero Boniperti.

Dopo duecentoquaranta presenze e ventisette reti, concluse la sua avventura calcistica nel Napoli, dopo altri due anni appese le classiche scarpette al chiodo per diventare allenatore. In varie riprese fu tecnico degli azzurri, al suo primo anno riportò il Napoli in Serie A dall’oblio della B, vincendo la prima Coppa Italia della storia partenopea, ma anche il primo titolo internazionale, la dimenticata Coppa delle Alpi. Il Petisso, però, il suo punto più alto come allenatore lo raggiunse nella stagione 1968/69 quando, alla guida della Fiorentina, regala il secondo scudetto della sua storia ai gigliati, dopo un entusiasmante testa a testa con il Milan di Gianni Rivera ed il Cagliari di Gigi Riva.

Poi, il lento declino, con ancora ritorni e addii alla panchina del Napoli, in un calcio che andava trasformandosi e in cui forse non si riconosceva più. Ora il Petisso ci ha lasciato: di lui restano il carattere istrionico, la grande simpatia, il grande quantitativo di sigarette che consumava, lo scaramantico cappotto di cammello da cui non si separava mai, le piccole, grandi gioie che ha regalato ai suoi tifosi.

 

 

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