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Leggenda bianca e nera

Ci sono personaggi che hanno attraversato il mondo dello sport con la velocità delle meteore, lasciandosi alle spalle una scia luminosa ma effimera, di breve durata.

Altri, invece, sono stati dei veri e proprio soli, abbaglianti centri gravitazionali capaci di formare un intero mondo, che ancora dura nel tempo.

Per quasi mezzo secolo Giampiero Boniperti ha rappresentato questo, nel mondo Juventus, l’unica squadra in cui ha militato, ancora oggi punto di riferimento dei bianconeri come presidente onorario. Quando a volte, presi da rigurgiti nostalgici, rimpiangiamo, per chi li ricorda, i giocatori bandiera, il primo a essere ricordato è proprio lui, il giocatore nato nella provincia novarese da famiglia di benestanti agricoltori, caratteristica, quella dei contadini furbi, che mantenne nel tempo anche quando divenne dirigente, nel trattare con i giocatori.

Nasceva attaccante, Boniperti, ed esordiva nella massima serie nel 1947, subito dopo la tragedia della guerra e poco prima di quell’altra tragedia sportiva, che colpì l’Italia, la perdita del Grande Torino. I granata furono i suoi rivali di sempre ma, da sportivo vero e leale, non esitò a indossarne la maglia, per una volta, proprio in una commemorazione della Tragedia di Superga. Come era tipico del calcio di quel tempo, figlio di metodo e sistema, Boniperti nel corso della sua carriera agonistica effettuò quella che oggi si chiama rotazione, in campo: iniziò da veloce ala destra, poi passò centravanti, sfruttando gli assist di John Hansen e del fratello Karl e dell’altro danese Karl Aage Praest, realizzando molte delle centosettantotto reti con cui avrebbe chiuso la sua carriera, fino a completare la rotazione arretrando il proprio raggio d’azione, diventando “centro-campista”, come lo aveva indicato, inventando il termine oggi di uso comune, il sommo Gianni Brera.

In questo ruolo poté esaltare le sue doti tecniche e la sua visione di gioco, diventando a sua volta il rifinitore per altri due fenomeni bianconeri di quegli anni, Omar Sivori e John Charles, a formare quello che è passato alla storia come il Trio Magico, in cui si esaltavano la fantasia dell’argentino, la potenza del gallese, la sapienza tattica dell’italiano, in contrapposizione e succedendo all’altro trio storico dell’epoca, il Gre-No-Li milanista formato da Gunnar Gren, Gunnar Nordhal e Nils Liedholm.

Per la Juventus e per Boniperti furono anni di successi, con cinque scudetti e due coppe Italia, poi, al termine della stagione 1960/61, dopo la conquista del titolo, Boniperti diede l’addio al calcio giocato. Come spesso capitato a grandi giocatori in quel periodo, in Nazionale non ebbe eguali successi, dopo Superga gli azzurri vissero un periodo di transizione che coincise con quel vuoto generazionale, partecipò a due mondiali (1950, 1954), ma senza alcuna gloria. Gloria che avrebbe invece continuato a mietere una volta messi i panni di dirigente, dimostrando quella furbizia contadina di cui abbiamo accennato all’inizio, evidente retaggio di famiglia, e per lui e la Juventus furono nuovi, e anche più cospicui successi.

Diventato presidente bianconero nel 1971, Boniperti contribuì con la sua gestione a costruire una delle Juventus più forti di tutti i tempi, portando in prima squadra talenti del vivaio come Roberto Bettega e Beppe Furino, e prendendo assi quali Dino Zoff, Marco Tradelli, Gaetano Scirea, Claudio Gentile, riprendendo Paolo Rossi che pure dal vivaio bianconero era uscito. Tutto questo portò alla corte della famiglia Agnelli nove scudetti, due coppe Italia, ma soprattutto l’affermazione a livello internazionale con la conquista di tutte le coppe del tempo, con Giovanni Trapattoni quale allenatore, altra sua felice intuizione, e, possiamo dire, la forza di questa squadra è dimostrata dal fatto che, in pratica, sarebbe diventata campione del mondo nel 1982 con la maglia dell’Italia di Enzo Bearzot.

Ritiratosi definitivamente negli anni Novanta, quando il calcio è diventato, anche nella contrattazione con i calciatori, una struttura industrializzata in cui non si ritrovava più, Boniperti è rimasto presidente onorario della Juventus fino all’ultimo, juventino dentro, perfetta incarnazione che “alla Juventus vincere non è importante, è la sola cosa che conta”.

 

 

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