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Abbracci d'oro

Come si può misurare la felicità, quale unità di misura, peso, spazio, tempo, può essere più indicata? E cosa è la felicità stessa?

In buona parte potrebbero essere considerati gli interrogativi della nostra vita, noi, però, non pretendiamo di essere così profondi, quanto piuttosto di cercare di rendere a parole le emozioni che regala un’impresa sportiva.

La nostra percezione ci porta a vivere l’ora e subito, ad esaltarci per la fase conclusiva di un evento, di una vittoria, spesso dimentichi di tutti i sacrifici che, chi quell’impresa realizza, ha dovuto affrontare, tutte le sconfitte che, da contraltare, ha dovuto subire e smaltire, prima di arrivare a vivere il proprio momento di gloria. Sembrava già un predestinato Gianmarco Tamberi, per tutti Gimbo, specialista del salto in alto, che arriva tardi al suo oro olimpico. Doveva partecipare ai Giochi di Rio del 2016, ma un maledetto infortunio alla caviglia lo privò di quella gioia.

Riprendersi non è facile, ci vogliono un’ostinazione ed una forza di volontà superiori alla norma, e il suo primo mattone sulla strada della gloria Tamberi lo ha messo proprio in questo, nel riprendersi ostinatamente fino ad arrivare alla finale di domenica scorsa. Salto dopo salto, con avversari via via eliminati, si è arrivati alla misura di 2.37, quando il bielorusso Maksim Nadesekau falliva la misura e restavano solo l’italiano e il qatariota Mutaz Essa Barshim.

Un segno del destino, o di qualsiasi altra entità spirituale si voglia, perché anche Barshim era in credito con la sorte, vittima del medesimo infortunio di Tamberi, e quando ai due è stata proposta la possibilità di condividere il primo posto, la scelta è stata naturale: oro a entrambi, e gioia esplosa in pianto dirotto e rotolamento in pista per Gianmarco, con davanti e sempre presente il gambaletto di gesso che gli impedì l’altra partecipazione, monito e incoraggiamento ad andare oltre, a non arrendersi.

Non si è mai arreso nemmeno Lamont Marcell Jacobs, cresciuto solo con la madre italiana, perché il papà militare fu presto trasferito in Corea del Sud, senza essere seguito dalla famiglia. Non è facile crescere senza il supporto di un genitore, da subito Jacobs si è messo in mostra nella velocità pura, ma pura era anche l’utopia che accompagnava non lui, ma quanti si cimentavano nella velocità dei 100 m, regno incontrastato per tre edizioni dell’olimpiade di Usain Bolt, ma ora senza re. L’utopia nasceva pure dal fatto che mai, in questa specialità, un atleta italiano era arrivato all’ultimo atto, mai nessuno aveva sfidato i figli del vento statunitensi, o i fulmini giamaicani, già il fatto di esserci costituiva una pagina storica, ma immaginiamo cosa sia passato per la testa di Jacobs: se sono arrivato qui, perché non provare ad andare oltre?

Motivazione amplificata anche dalla medaglia dello stesso Tamberi, conquistata solo dieci minuti prima. E allora eccoli tutti gli sfidanti, allineati ma idealmente uno di fronte all’altro come nelle vecchie sfide dell’epico far west: chi estrarrà più velocemente? Meno di dieci secondi, due respiri e due battiti di ciglia, prima di rendersi conto che l’impresa era compiuta, che Lamont Marcell Jacobs era nella storia, prima medaglia d’oro olimpica nei 100 m e successore di Bolt!

Bisogna risalire ai Giochi di Mosca del 1980, quando Pietro Mennea conquistò l’oro nei 200 m e Sara Simeoni quello nel salto, in giorni diversi, in epoche diverse. Qui abbiamo avuto la fortuna di assistere a qualcosa di unico, due ori mai vinti nella stessa giornata a dieci minuti l’uno dall’altro, sulla stessa pista. Sono passate poche settimane dall’abbraccio tra Roberto Mancini e Gian Luca Vialli dopo la conquista del campionato europeo di calcio, ora un altro abbraccio, quello tutto d’oro tra Tamberi e Jacobs, va ad arricchire la nostra collezione e a creare il giusto collegamento tra questi due eventi, lontani eppur vicini, emblematici della forza caratteriale che, senza retorica, il nostro popolo ha, e a dare la giusta carica a reagire e a riprendersi da una pandemia che ancora non ha concluso il suo nefasto percorso.

Per chiudere, dopo la vittoria nell’europeo, proponemmo la data dell’11 luglio come giornata azzurra del calcio perché concomitante con un’altra grande vittoria, quella mondiale di Spagna 1982. Oggi proponiamo l’1 agosto come giornata italiana dell’atletica, perché un sogno d’oro così, ai Giochi, l’Italia non lo aveva mai fatto.

 

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